"Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne
ricordano)". Antoine de Saint-Exupéry
L'origine delle favole si perde nella notte dei tempi.
Le popolazioni antiche, che non conoscevano la scrittura, utilizzavano il racconto orale per trasmettere conoscenza e tradizioni di generazione in generazione.
Le favole, dunque, originariamente, non erano destinate all'educazione infantile, ma a dare significato alla vita quotidiana dei membri di una tribù.
Queste storie assistevano, infatti, le prime comunità umane nel dare spiegazioni a particolari eventi naturali e nello strutturare usanze collettive. (Cristina Giuliattini: introduzione alla brillante tesi di laurea su "Le favole nell'immaginario infantile odierno").
Allora perché non proviamo ad utilizzare le fiabe per trovare delle risposte ai nostri "grandi" dubbi?
Perché non cominciate a mandarmene alcune con una breve nota di commento.
Io ci provo....
La prima è una favola allegorica sui condizionamenti dell'uomo, determinati, soprattutto, dall'esigenza di adeguamento sociale e dalla paura di differenziarsi dagli altri, il suo titolo, nella versione dedicata all'infanzia, era "I vestiti dell'imperatore", quando, invece, è stata utilizzata dagli adulti, si è intitolata "Il re è nudo!".
"Due sarti imbroglioni si presentarono a corte offrendo stoffe stupende e magiche che potevano essere viste soltanto dalle persone intelligenti: in realtà, come è ovvio, non esistevano.
Basta, però, che il Ciambellano, per primo, dichiari di non aver mai visto niente di simile ed il gioco è fatto! Tutti i cortigiani incominciano a lodare le stoffe, e lo stesso re ordina per un'importante cerimonia pubblica un abito tessuto con quelle meraviglie.
La parata inizia, il re naturalmente è in mutande, ma nessuno della folla osa vedere la verità, solo un piccolo bambino, privo di pregiudizi e di conformismo, urla con tutto il suo stupore di fronte all'abbigliamento del sovrano: il re è
nudo!".
La seconda è tratta dal libro "The magus" del novellista inglese John Fowles, e vuole essere una metafora sulla necessità dell'impegno e della consapevolezza perché l'uomo possa raggiungere la propria maturità.
E come in una fiaba:
"C'era una volta un giovane principe che credeva in tutte le cose tranne che in tre: non credeva nelle principesse, non credeva nelle isole e non credeva in Dio.
Il re suo padre gli aveva detto che queste cose non esistevano e, siccome nel regno paterno non vi era traccia né di principesse, né di isole e né tantomeno di Dio, il principe credeva a quanto detto dal genitore.
Ma un bel giorno, il principe lasciò il palazzo reale e giunse nel paese vicino: qui, con sua gran meraviglia, da ogni punto della costa vide delle isole e su queste attraenti e regali fanciulle.
Si mise subito alla ricerca di un'imbarcazione, quando lungo la spiaggia gli si avvicinò un uomo elegantemente vestito in abito da sera.
Il giovane principe gli domandò, allora, se quelle fossero isole con sopra autentiche principesse e, alla risposta affermativa, gli chiese se ci fosse nelle vicinanze anche Dio.
Rimase sbalordito quando il distinto signore gli rivelò, con un inchino, che Dio era proprio lui.
Il giovane principe, allora, tornò a casa e si recò dal padre per comunicargli, con un certo tono di rimprovero, che aveva visto le isole, le principesse ed addirittura Dio.
Il re rimase impassibile e gli chiese le caratteristiche del signore che aveva incontrato sulla spiaggia.
Quando seppe che, tra l'altro, portava le maniche rimboccate, sorrise e disse al figlio che quella era la caratteristica dei maghi e che quindi era stato ingannato.
A questo punto il principe ritornò nel paese vicino e si recò nella stessa spiaggia della prima volta, incontrando di nuovo l'uomo in abito da sera.
L'apostrofò con rabbia per le bugie che gli aveva detto, riportandogli le parole del re suo padre.
L'uomo della spiaggia sorrise e gli confermò che era un mago, confidandogli, però, che anche suo padre era un mago e lo teneva sotto un incantesimo che gli impediva di vedere la verità delle cose.
Il principe ritornò allora a casa pieno di dubbi e quando incontrò il padre gli chiese, fissandolo negli occhi, se fosse realmente un mago.
Il re sorrise e si rimboccò le maniche.
Di fronte ad una tale situazione di inganni e di incomprensione e, nell'impossibilità di comprendere il senso delle cose, il principe fu preso da una profonda tristezza e decise di uccidersi.
Il re, per magia, fece apparire la morte che invitò il giovane ad andare con lei.
Il principe a quel punto ebbe un brivido e, ricordandosi delle isole belle e forse irreali e delle attraenti e forse inesistenti principesse, cambiò idea e disse alla morte di sparire.
Allora il re suo padre, di fronte a questa scelta, gli comunicò, sorridendo, che stava anche lui diventando un mago; ed il giovane, a quel punto, si rimboccò le
maniche".
Ho ricominciato a leggere le favole di Esopo (in una piacevole ed
economica edizione degli Oscar Mondadori), perché in poche righe sono sintetizzate le problematiche umane, ancora presenti nel III millennio, e…
stiamo parlando di un periodo che va dalla fine del VII secolo a. C. alla prima metà del
VI.
Ne ho scelte quattro: la prima è famosissima, le altre tre sono poco
conosciute ma molto significative.
La volpe e l'uva
Una volpe affamata scorse alcuni grappoli d'uva che pendevano da una
vite e volle afferrarli. Ma non riuscì a raggiungerli e, mentre si allontanava, commentò tra sé: "Non sono mica maturi!".
Così anche tra gli uomini alcuni, se per la loro incapacità non possono
arrivare alla meta, ne danno la colpa alle circostanze.
Il lupo e la vecchia
Un lupo affamato vagava in cerca di cibo. Giunto in un certo luogo, udì un
bimbo piangere e una vecchia che gli diceva: "Smettila di frignare, se no ti do subito al lupo!".
Il lupo, credendo che la donna parlasse sul serio, stette
ad aspettare per un pezzo, ma, quando calò la sera, senti ancora la vecchia vezzeggiare il bimbo e dirgli: "Se verrà il lupo, figliolo, lo uccideremo".
Dopo aver udito questo discorso, il lupo se ne andò, commentando: "Qui
dicono una cosa e ne fanno un'altra".
La favola è per quegli uomini che non conformano le azioni alle parole.
L'asino e il cagnolino
Un tale, che possedeva un cane maltese e un asino, giocava continuamente
con il cane e, se talvolta pranzava fuori, portava sempre a casa qualche bocconcino da gettargli quando quello gli correva incontro scodinzolante.
Un giorno l'asino, che era geloso, accorse anche lui e, a furia di saltare,
colpì il padrone con un calcio.
Allora l'uomo, sdegnato, ordinò che lo
portassero via a bastonate e lo legassero alla greppia.
La favola dimostra che non tutti sono fatti per le stesse cose.
Il nibbio che nitriva
Una volta il nibbio aveva una voce acuta ben diversa da quella di oggi.
Ma un giorno udì un cavallo che nitriva in modo splendido e volle
imitarlo. Nonostante i continui tentativi, però, non riuscì a riprodurne bene il verso e, d'altro canto, finì per perdere anche la propria voce. E così non
ebbe né la voce del cavallo né quella che possedeva in precedenza.
Le persone di scarso valore, che per invidia si sforzano di imitare ciò che è
contrario alla loro natura, perdono anche le qualità che a quella sono conformi.
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